Per chi ama le storie, quelle forti, che toccano l'anima, la strapazzano e te la restituiscono.
Lieto fine garantito, ma non è un romance, non in senso stretto, anche se si parla di amore, di quello vero, forte, potente, travolgente e indimenticabile..Per chi è curioso, ecco a voi il prologo.
Prologo
2006
Roma, Italia
Fabiola
Mi hanno dato il nome di Fabiola, perché piaceva a mia madre.
Di lei non ricordo quasi nulla, tranne che era bionda con gli occhi azzurri.
La rivedo spesso nei miei sogni. Si china sulla culla ed io le afferro la treccia. È morbida e mi piace carezzarla. Peccato che si tratti solo di un sogno, perché mi farebbe piacere tornare bambina, quando vivevo in una casa vera, con una madre e un padre.
Se ripenso a mio padre, gli occhi mi si riempiono di lacrime. Sono passati tre anni da quando l’ho visto precipitarsi nella mia camera e intimarmi di chiudere la porta a chiave.
«Avevi ragione tu, piccola», sono state le sue ultime parole, asciugandosi le lacrime. «Marina è una stronza e pagherà per tutto il male che ci ha fatto».
Da quel giorno non l’ho più visto.
È morto, falciato sulla Tuscolana da un pirata della strada che si è dileguato nell’ombra così com’è apparso.
La polizia ha archiviato il caso un paio di settimane fa, ma non è questo a farmi stare male.
Sono seduta in questa stanza piena di faldoni, tra due sedie vuote. L’illuminazione è scarsa e davanti a me c’è la scrivania di Tonia, con pile di fascicoli ai lati e fogli sparsi sul ripiano.
Osservo la pioggia picchiare insistente contro i vetri della finestra alle spalle della scrivania.
Tonia ha appena accompagnato alla porta i francesi. Dice che l’orfanotrofio presto chiuderà e i bambini della struttura devono trovare una nuova collocazione.
Per i più piccoli ci sarà ad attenderli una nuova famiglia, in affido o con l’adozione definitiva, ma per me e Lorenzo la questione è diversa.
Noi siamo i più grandi, dodici anni a testa. Mi mordo il labbro con rabbia, fino a sentire il sapore del sangue. Possibile che non me ne vada mai bene una? Per sposarsi bisogna aver compiuto diciotto anni. Facendo un rapido calcolo è facile immaginare quanto sia impossibile sperare di fuggire e restare nascosti per almeno sei anni.
Mi tiro le ginocchia al petto, su quella seggiola scricchiolante che va a pezzi come il resto della struttura. Sollevo lo sguardo su quelle pareti piene di muffa. Lo abbatteranno? Chi lo sa! Un po’ mi dispiace. È qui che è iniziata la mia seconda vita.
«Eccoci qua!».
Tonia è rientrata, con l’ombrello gocciolante e un sorriso soddisfatto sulle labbra.
«I Dubois sono entusiasti e devo ammettere che anch’io sono molto orgogliosa di te», mi sorride, infilando l’ombrello in un cesto e recuperando le carte sulla scrivania. «Pensavo avresti scalciato e risposto in modo impertinente. Invece sei stata educata e carina». Sorride ancora ed io abbasso la testa.
Tonia interpreta il mio silenzio come una forma di assenso e riprende a parlare:
«Hanno già due figli, due maschi», mi spiega tutta orgogliosa. «Chiara ha sempre desiderato una femmina, ma visto che oramai non ne potranno più avere hanno pensato all’adozione».
Le mostro un ghigno e lei solleva gli occhi al soffitto, ma non demorde.
«Ti tratteranno come una figlia e finalmente, dopo tanto tempo, tornerai ad avere una famiglia».
«Io una famiglia ce l’ho già», le ricordo, guardandola truce.
Tonia si sistema gli occhiali sul naso, facendoli risalire alla base degli occhi.
I capelli castani le scivolano sul viso, sfuggendo all’elastico. Deve avere poco più di trent’anni, ma sembra più vecchia.
Non è però brutta. Anzi, ha dei bei lineamenti e di solito con me è molto carina, ma negli ultimi tempi si è messa in testa di mandarmi via da questo posto, separandomi da Lorenzo, e i nostri rapporti non sono più quelli di un tempo.
«Non puoi restare qui e lo sai», mi ricorda con aria rassegnata, sfilandosi gli occhiali e sbuffando. «È la legge», mi ripete. «Dall’anno nuovo gli orfanotrofi cesseranno di esistere e i bambini verranno destinati a nuove strutture».
«E Lorenzo ed io non possiamo essere accolti in queste nuove strutture?».
Balzo in piedi, serrando le labbra e alzando il mento, a modo di sfida. Aggrotto la fronte, restando immobile al centro della stanza. Insomma, perché tutti possono restare e invece io devo andare via? Chi lo ha deciso?
«Fabiola!».
Tonia gira intorno alla scrivania, allargando le braccia.
«Quante volte te lo devo ripetere?», mi chiede. «Lorenzo sarà accolto in una casa famiglia, mentre tu…».
«Mentre io andrò con lui», mi impunto.
«Non è possibile».
Tonia scuote il capo.
«Perché?», le chiedo, incrociando le braccia sul petto. Merito almeno una spiegazione, no?
«Perché Lorenzo è un ragazzo problematico, che difficilmente verrà adottato, mentre tu…».
Tonia afferra un fazzoletto e comincia a pulirsi gli occhiali.
«Sei un tantino impertinente, ma sembra che il signor Dubois ti abbia preso in simpatia e la moglie ti adora».
«Vuol dire che anch’io comincerò a fare scenate come Lorenzo».
«Non provarci nemmeno».
Tonia alza la voce, puntandomi un dito contro.
«Non restereste comunque insieme».
«Perché?», mi impunto.
«Perché? Perché? Perché?», sbraita la donna che dopo mia madre è l’unica che mi abbia fatta sentire in qualche modo a casa.
«Perché ci sono cose che non posso spiegarti», osserva, infine. «Ti fidi di me?».
Vorrei risponderle, ma non mi lascia parlare.
«È la soluzione migliore per te», mi assicura.
La guardo da sotto le ciglia, per niente convinta, con le braccia piegate sul petto.
«Io voglio restare con Lorenzo».
«Non è possibile». Tonia batte una mano sulla scrivania, irritata. «Conoscendovi, finiresti con il trascinarlo nella tua assurda vendetta contro Marina Lovato ed io non posso permetterti di rovinare la tua vita e la sua!».
Ora sta urlando. Mi tappo le orecchie per non ascoltarla, ma lei mi raggiunge e mi allontana le mani con fare brusco.
Si porta le dita sui fianchi e mi guarda qualche istante in silenzio. Gli occhi castani brillano determinati.
«Lorenzo ha bisogno di pace e tu non sei in grado di dargliene».
«Se è per questo, da quando sono arrivata non ha più avuto attacchi di panico e ha anche smesso di fumare».
Tonia serra le labbra sbiancando ed io mi porto una mano alla bocca, cercando di rimangiarmi quello che le ho appena rivelato.
«Quel ragazzo mi farà morire di crepacuore», osserva ad alta voce, per poi tornare a me, con una smorfia di sopportazione sul viso.
«Mi stai dicendo che Lorenzo fuma?».
«Io non ho detto niente».
Mi piego nelle spalle.
«Ti ho sentito benissimo».
«No, avrai frainteso», le assicuro.
«Fingiamo di sì», borbotta, raccogliendo dei fogli sulla scrivania.
A un tratto solleva lo sguardo e incrocia i miei occhi.
«Lorenzo resterà ancora qualche mese con noi e poi dovrà passare in affidamento presso qualche famiglia», mormora di cattivo umore. «È probabile che ne cambierà parecchie, ma sarà felice di sapere che almeno tu avrai una casa, dei fratelli e dei genitori che ti vogliono bene».
«Non voglio andare in Francia», chiarisco.
«Invece ci andrai e un giorno, quando tornerai a trovarmi, mi ringrazierai», mi assicura, chiudendo un plico e alzandosi.
«Il caso di tuo padre è stato archiviato e tu continui ad accusare Marina Lovato del suo omicidio, pur non avendo prove». Scuote il capo. «A volte temo che la tua ossessione possa portarti alla follia».
«Marina è una stronza», le chiarisco risentita. «Mi trattava malissimo, quando papà non c’era e l’ho sentita con le mie orecchie che voleva scappare con i nostri soldi», le ricordo.
Tonia solleva gli occhi al soffitto rassegnata, per poi tornare a me, battendo ripetutamente le mani sui jeans.
Scuote la testa.
«Se resti a Roma finirai con il metterti nei guai e trascinerai anche Lorenzo in questa pazzia».
«Lorenzo non sa nulla di Marina», le ricordo. «Ti ho promesso che non gliene avrei parlato e l’ho fatto, ma non smetterò di interessarmi a quella donna, perché prima o poi riuscirò a dimostrare anche a voi che è una falsa e una ladra». Sento le labbra piegarsi in un sorriso, ma lo sguardo truce di Tonia smorza il mio entusiasmo.
«Parigi», mi ripete ed io stringo i denti.
Potrà mandarmi anche in capo al mondo, ma non dimenticherò quella donna e ora che si è sposata con Marco Fiore, non avrò problemi a seguirla anche dalla Francia.
«Cosa ti frulla per la testa?».
«Niente», le assicuro, ma Tonia mi conosce troppo bene per credermi.
Mi afferra un braccio e mi scuote leggermente.
«Ragazzina…», mi intima ed io sollevo le braccia, arrendendomi.
«Stavo pensando a Marco Fiore».
Tonia s’incupisce.
«Non starai pensando…».
«Ci ho provato», riconosco. «Le guardie del corpo, però, non mi hanno lasciato avvicinare», gli rivelo, contrariata.
«E cosa ti aspettavi?».
Tonia ride ed io la guardo truce.
«Farà del male anche a lui», le ripeto con sempre maggiore convinzione. «E la colpa sarà tua!».
«Fabiola, tuo padre è stato investito da un Suv e Marina Lovato, lo hai ammesso anche tu, non ha mai avuto una macchina».
«Sì, il suo amico però aveva un’auto», le rispondo, portandomi le mani sui fianchi.
«Aspetta…». Tonia mi fa cenno di rallentare. «Chi è questo amico?». Reclina la testa di lato, stringendo gli occhi leggermente, prima di sciogliersi in una risata. «Figlia mia, tu da grande devi fare la scrittrice», mi assicura. «Hai una fervida immaginazione e una capacità di raccontare…».
«Allora non mi ascolti?», sbotto, alzando la voce. «Il giorno in cui mio padre è morto, Marina era nella stanza da letto con un altro uomo ed io so che aveva nascosto molti soldi in una borsa che teneva nell’armadio».
«Fabiola…». Tonia scuote il capo.
«Puoi non credermi, ma io quell’uomo lo avevo già visto nella nostra casa».
«E se sapevi che…».
«Ho provato a raccontarlo a papà, ma lui non mi ha creduto», le dico, spazientita, gesticolando animatamente. «Ha riso e mi ha detto di rilassarmi, perché erano anni che non si concedeva un paio di giorni con gli amici, ma io ho insistito così tanto che alla fine mi ha accontentato», ricordo. «Ha fatto marcia indietro e mi ha detto che mi avrebbe messo in punizione per un mese, se quello che gli avevo raccontato non fosse stato vero», mi zittisco per qualche istante, per raccogliere le forze, mentre i ricordi mi travolgono. «Era tutto vero».
La voce mi viene meno e vedo finalmente lo sguardo di Tonia mutare.
«Lei era a casa con il suo amico e i soldi erano nell’armadio».
«Fabiola, capisco il trauma, ma gli adulti spesso tradiscono e anche se è ingiusto…».
«Allora, non vuoi capire», sbottò, esasperata. «I soldi sono spariti e lei ha giurato di non averli mai toccati».
«Fabiola».
Tonia mi serra le mani intorno alle spalle. «Devi rassegnarti! Marina Lovato non è una brava persona, ma non aveva nessun obbligo legale nei tuoi confronti e per quanto riguarda i soldi…», si piega nelle spalle. «Le indagini hanno dimostrato che i prelievi in banca avvenivano su un conto cointestato e l’ultimo a prelevare quei soldi è stato tuo padre».
«È inutile parlare con te», borbotto rassegnata, voltandole le spalle.
***
Lorenzo
È mezz’ora che cerco di aggiustare la ruota di questo piccolo camion che Enzo si è portato in gita.
Perché mai Michele gli abbia permesso di trascinarsi dietro questo giocattolo resta un mistero, ma ho imparato a tenere per me i miei pensieri, a meno che non si tratti di Fabiola. Solo con lei riesco a essere sincero. E pensare che è una ragazzina di dodici anni che, quando è arrivata al Biancaneve, piangeva dalla mattina alla sera ed io mi divertivo a tirarle i capelli.
Tonia mi rimproverava di continuo, ricordandomi che Fabiola aveva appena perso suo padre e che io, orfano da tempo immemore, dovevo capirla e aiutarla, invece di infierire sul suo dolore.
Solo che io non sapevo neppure cosa fosse il dolore, ma quegli occhi grandi e luminosi che mi fissavano in silenzio mi muovevano qualcosa dentro. Era come se dovessi prendermi cura io di lei e così mi sono seduto vicino a quella ragazzina, in quell’angolo del salotto, dove la sera Michele riunisce tutti i bambini, e in silenzio le ho preso la mano.
Sono rimasto lì a lungo, ascoltando i suoi singhiozzi, ma dopo qualche minuto il pianto si è calmato e mi sono accorto che mi poggiava la testa sulle spalle.
Credo di essermene innamorato allora, scoprendo così cosa fosse quel nodo che sentivo fermo e duro nel mio cuore. Era dolore che le lacrime scioglievano.
«Allora, hai deciso di scendere in sala da pranzo o pensi di continuare con la tua posa oltraggiata?».
Michele entra nella camera del bed and breakfast con la sua aria scanzonata e i capelli bianchi che gli sfiorano il colletto.
Aggrotto la fronte. Quanti anni avrà? Non sembra vecchio. Ha la pelle liscia, ma la testa sembra appena uscita da un sacco di farina.
Abbasso lo sguardo, per impedirmi di ridere. Non sono dell’umore adatto. Mi hanno costretto a questa gita per nani, con la scusa di dover dare una mano a Michele, solo per impedirmi di prendere a calci i francesi che vogliono portarsi via Fabiola.
Nessuno può separarmi da lei.
«Ancora furioso per la storia della ragazzina?».
«Non è una ragazzina», gli rispondo a muso duro. «È la mia donna».
«Donna…».
Le labbra di Michele si increspano leggermente ed io sono tentato di sferrargli un pugno, ma mi trattengo.
Non è con lui che devo prendermela, ma con Tonia. È stata lei che mi ha detto di prendermi cura di Fabiola ed è sempre lei a volerla mandare lontano da me.
«Non devi essere egoista».
Michele mi poggia una mano sulla spalla ed io lo respingo, con una spinta.
«Ehi! Sei impazzito?», sobbalza.
«Non voglio che mi tocchi e soprattutto non voglio che tu mi prenda per il culo», gli urlo, alzandomi e abbandonando quel catorcio senza ruote che Enzo chiama camion.
Volto la schiena al mio educatore, infilando le mani nelle tasche posteriori dei miei jeans, guardando fuori dalla finestra.
Non si vedono che campi intorno a noi.
Che razza di posto è questo?
«È facile parlare per te», gli dico a un tratto. «A te non stanno smembrando la famiglia».
«Non devi preoccuparti».
La mano di Michele si serra sulla mia spalla. «Tonia ed io ci sposeremo presto e avvieremo tutte le pratiche per continuare la nostra attività in una casa famiglia e tu, naturalmente, verrai a stare con noi».
Mi scosto, voltandomi a guardarlo.
«Quanti bambini potete seguire?».
«Sei».
«Allora te ne restano quattro».
«Non è possibile».
Michele scuote il capo, risoluto.
«Fabiola parte».
«Perché?», gli vado contro.
Lui arretra, ma non molla.
«Fabiola merita una famiglia vera».
«Ed io no?».
«Tu ce l’hai una famiglia», mi risponde piccato.
«Dove vado io, viene anche Fabiola», gli ricordo.
Michele scuote ancora una volta il capo.
«Lorenzo, te la senti davvero di privarla della possibilità di avere una famiglia per tentare di finire in affido?».
Non ribatto. Non so cosa rispondergli. Io voglio che Fabiola resti con me, ma so che le cose potrebbero essere molto più dure di quello che le ho prospettato e lei non se lo merita.
«I francesi hanno ottime referenze e contano su un patrimonio personale interessante. Potranno farla studiare, darle calore e offrirle un futuro luminoso. Cosa che tu, al momento, non puoi assicurare nemmeno a te stesso».
Sento i nervi guizzarmi sulla faccia. Serro i pugni lungo le braccia, mentre il panorama davanti a me scompare.
«Pensaci», mi dice, strizzandomi una spalla.
«Se cambi idea, noi siamo di sotto».
***
Due settimane dopo
Fabiola
La mia valigia giace nell’ingresso.
Ho indossato i vestiti buoni della domenica. Gli unici che ho: una gonna di jeans che mi sfiora il ginocchio e un maglioncino di lana azzurro. Ai piedi ho un paio di stivali che salgono fino al ginocchio.
Mi osservo le gambe. Sono tornite e dritte. Lorenzo dice che sono bellissime.
Faccio una smorfia. A me non piacciono. A dire il vero, non mi piace nemmeno Lorenzo.
Da quando ha saputo che i francesi sarebbero passati a prendermi alle tre del pomeriggio è scomparso nella sua camera e non è più uscito. Dovrei essere molto arrabbiata con lui. Non aveva promesso di prendersi cura di me? Invece ha permesso a Tonia di avere la meglio. Vado via. Lascio l’Italia e dico addio alla promessa fatta a mio padre.
«Sono arrivati», esclama emozionata la piccola Silvia, puntandomi addosso i suoi occhi chiari, attaccata alla giacca di Michele. Si porta un dito in bocca e mio malgrado sorrido.
Mi mancheranno tutti loro. Da almeno tre anni sono la mia famiglia.
«Sei pronta?».
Tonia è emersa dal suo ufficio. Si sistema gli occhiali sul naso e si piega leggermente per guardarmi bene in volto.
Mi sorride, ma in fondo allo sguardo noto una certa tristezza e mi commuovo.
Allargo le braccia e la stringo forte.
«Ti perdono», le sussurro, scostandomi, e i nostri occhi s’incontrano.
«È importante il tuo perdono», commenta con tono scherzoso, poggiandomi una mano sul capo.
«Puoi giurarci», le assicuro. «Non lo concedo a tutti», le rammento e lo sguardo di lei s’incupisce. «Lorenzo, per esempio, non lo perdonerò né ora né mai», aggiungo risentita, afferrando la valigia e sollevando lo sguardo su Michele.
«Vado».
«Sei sicura che non vuoi che ti accompagniamo?», mi chiede testa di neve.
Scuoto il capo, decisa.
«Odio gli addii», gli ricordo, ma dentro di me so che è solo un arrivederci.
Tornerò. Di questo sono certa.
«Telefona, appena arrivi», mi ripete per la millesima volta Tonia, con la voce incrinata.
Mi volto a guardarla e serro le labbra. Annuisco, incapace di parlare.
Devo andare via, se non voglio sciogliermi come neve al sole.
Socchiudo gli occhi, uscendo in giardino. Il sole è ancora alto e il cielo è limpido.
Mi mancherà Roma.
Inspiro l’aria nei polmoni e sollevo lo sguardo su quelle due figure quasi sconosciute che, nei loro abiti eleganti, mi sorridono incoraggianti.
La valigia pesa. Ne ho altre due, che Michele ha già sistemato nel taxi, ma questa dovevo portarla io. Contiene le cose più preziose. Quelle da cui non mi separerò mai.
La poggio a terra e il signore dai folti baffi e gli occhi blu cielo si muove, venendomi incontro. Sembra volermi aiutare, ma a un tratto vacilla travolto da Lorenzo che appare dal fondo della strada, correndo come un pazzo.
Smilzo e allampanato ha il viso rosso e gli occhi sgranati.
Si ferma a pochi passi da me, con le mani sulle ginocchia e il fiato corto.
«Pensavo di non farcela», osserva, tra un respiro e l’altro, con il petto che si alza e abbassa a ritmo sostenuto.
«Dove sei andato?», lo guardo truce. «Michele mi ha detto che eri chiuso in camera e non volevi vedermi».
«Ho mentito per poterti comprare questo», mi rivela, infilando una mano in tasca ed estraendone un braccialetto di corallo rosso.
«Dove lo hai preso?», gli chiedo, incredula.
«Al mercatino dell’usato», mi rivela.
«Non l’avrai rubato?».
Nascondo la mano.
Lorenzo mi afferra il braccio con decisione, armeggiando con il gancio. «Era rotto, così ho chiesto a Rosario di aggiustarlo».
Rosario è un barbone a cui a volte Tonia offre il pranzo e la cena.
Dorme a pochi passi dalla stazione ferroviaria ed è bravo a creare piccoli oggetti in ferro.
Sorrido appena.
«Mi dispiacerà non vederlo più».
«E non vedere me, quanto ti dispiacerà?», mi chiede a tradimento Lorenzo con gli occhi rossi.
«Tanto», gli confesso, sentendo il braccialetto intorno al mio polso scivolare.
Mi sollevo sulle punte e lui si abbassa un poco, così gli getto le braccia al collo.
«Sai che tornerò, vero?», gli sussurro in un orecchio e lo sento singhiozzare.
Se c’è una cosa che non sopporto è vederlo piangere.
È come se il mondo intero mi cascasse addosso. Tra noi due è lui quello forte. Almeno, così ho sempre pensato, ma forse mi sbaglio.
«Non fai che ripetermelo, ma io sono sicuro che ti dimenticherai di me, una volta lontana dall’Italia».
«Non succederà», gli ribadisco e cerco il suo sguardo per essere sicura che mi creda. «Tornerò e guai a te se sarai tu a non ricordarti di me».
«Non potrei mai dimenticarti, per niente al mondo».
«Fabiola, è ora di andare».
Dubois mi prende la mano ed io fatico a distogliere lo sguardo da quello di Lorenzo.
Lo rivedrò più? Gli ho detto di sì, ma ho paura che la vita si faccia beffa della mia determinazione.
«Se non tornerai, verrò a cercarti».
Lorenzo quasi mi legge nella mente ed io lascio la mano di Dubois per correre da lui. Gli getto le braccia al collo e lo bacio. Un bacio a labbra chiuse, per siglare la nostra promessa. In un modo o nell’altro ci ritroveremo.
Marianna Vidal, Per niente al mondo, Amazon, Kindle Unlimited.
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