Oggi vi propongo il prologo di Unica chance, il mio romanzo ispirato a un personaggio che ha dominato e continua a dominare l'immaginario femminile e non solo. Di chi parlo? Proviamo a scoprirlo insieme.
PROLOGO
Inghilterra,
Londra
Nathan
Patrizio
non ha smesso di ciarlare da quando è arrivato. Gli affari gli vanno
particolarmente bene in questo periodo e progetta di aprire una nuova catena di
ristoranti a New York.
A
quarantacinque anni, è uno dei nomi importanti nel mondo della ristorazione e
la sua scalata è stata davvero rapida, se si pensa che dopo il diploma, quando
l’ho conosciuto, lavorava in una pizzeria di Milano.
Ero
un habitué a quei tempi, anche se la pizza potevo solo sognarla.
Come
modello mi era preclusa anche la pasta, ma la sua l’ho provata, non una volta,
ed era davvero buona.
La
sua mente, però, era troppo analitica per restare dietro i fornelli, così,
quando ha capito che per sfilare in mutande guadagnavo bene, mi ha proposto di
finanziare una sua idea: esportare l’eccellenza culinaria italiana nel mondo,
attraverso due o tre sue specialità.
Non
so come ci sia riuscito, ma gli ho dato fiducia e, due anni dopo, avevamo una
società che fatturava discretamente.
Anche
la mia professione come modello, però, continuava a darmi soddisfazioni e la
pubblicità in costume, per una nota casa di moda, aveva fatto schizzare le mie
quotazioni alle stelle.
Ho
dovuto scegliere e l’ho fatto, preferendo restare nel mio mondo, ma la nostra
amicizia è rimasta ben salda, anche nella tempesta della celebrità.
«Ancora
a sbavare sulla rossa?».
Patrizio
mi sfila da sotto le mani la rivista patinata che osservo da diversi minuti,
per passare in rassegna le forme aggraziate di quel corpo divino che ci guarda
dalla copertina di Magazine New York.
«Perché
non la inviti a cena?», mi domanda, restituendomi il giornale.
Sollevo
pigramente gli occhi su di lui, lasciandomi ricadere contro la spalliera del
divano.
Per
Patrizio tutto è sempre molto semplice. Ti innamori, ti sposi, divorzi. Lui lo
ha fatto tre volte e neanche i costosi contenziosi che ne sono seguiti hanno
fiaccato la sua voglia di riprovarci ancora. Ovviamente con quella giusta,
questa volta!
Un
sorrisetto mi piega le labbra.
Esiste
davvero una persona adatta a noi capace di renderci felici? Diversamente da
lui, non ne sono molto convinto.
Tutto
nasce e muore, anche l’amore.
«Allora?»,
insiste. «È almeno la quarta volta che ti becco a sbavare su una rivista con
lei in copertina e non infierisco solo perché sono tuo amico, ma ti avverto:
sei ridicolo!».
Si
passa una mano sulla testa calva, scuotendo il capo, divertito.
«Che
poi… Chi te la negherebbe?».
Lascia
correre lo sguardo su di me, facendo una smorfia.
«Sei
schifosamente ricco e le donne sbavano sulle tue foto in costume, ancora a
vent’anni dalla famigerata pubblicità con l’altra italiana». Schiocca la
lingua, cercando di ricordarsi il nome della modella che appariva nello spot
con me.
«Vanni»,
gli rammento. «Ludovica Vanni».
«Sì,
quella!», esclama, illuminandosi in volto, per poi farsi serio.
«Bona!
Non sai quanto ti ho invidiato, quando mi hai detto che vi eravate dati da fare
nei cessi del backstage».
«Erano
altri tempi», gli assicuro. «Oggi Ludovica è moglie e madre felice».
«Mhmm!
In effetti non sono tante quelle che restano nel tuo mondo. Per non parlare dei
modelli», riflette. «È vero che i maschi guadagnano una miseria?».
«Hanno
quotazioni inferiori a quelle delle donne, sì», riconosco.
«Tu,
però, non te la passavi male anche prima di quella pubblicità», rammenta.
«Altrimenti non avresti mai potuto finanziare la prima di una delle mie tante
idee brillanti», ridacchia, servendosi del whisky. «Ne vuoi anche tu?», mi
domanda, come se fosse a casa sua e non nel mio salotto a Chelsea.
Annuisco,
lanciando uno sguardo fuori dalla finestra.
Il
cielo è al tramonto, in un insolito caldo rosso che si riflette sulle pareti di
pietra della costruzione. Il tempo ci
ha graziato con una giornata di sole e la serata non si prospetta da meno, ma
domani torno in Italia e, con un pizzico di sorte, potrò godere di giornate
assolate ancora più belle.
«È
tutta questione di testa», gli rispondo a un tratto, afferrando il bicchiere
che mi porge. «Di testa e di fortuna».
Sorseggio
il mio liquore.
«Bisogna
saper cogliere le occasioni che la vita ti offre, rilanciando nel modo giusto»,
osservo.
«Hai
perfettamente ragione», concorda il bastardo, tornando all’argomento che più lo
diverte.
«Per questo
dovresti approfittare della tua presenza a Milano per conoscerla».
Solleva il
cristallo a modo di brindisi, ma non demordo, deciso a cambiare argomento.
«Quanti tavoli
riusciresti a collocare nella sala ristorante di cui mi hai parlato?».
Recupero dal
tavolino davanti a me la planimetria.
«Nat, la vita è
breve».
Mi posa una
mano sul braccio, con uno scintillio negli occhi di un caldo miele.
«Da quando
Abril ti ha piantato, hai smesso di farti vedere al fianco di queste stelline
in cerca di notorietà, ma cazzo, Nat, hai solo quarantadue anni e se ti piace
una ventenne non è certo la fine del mondo, no?». Mi scruta dall’alto in basso,
per poi esclamare:
«Se non te lo
permetti tu, chi potrebbe?».
«Patrizio,
smettila. Sai bene come la penso in merito».
Annuisce.
«Basta con la
parola amore, ma chi ha parlato di relazione?».
Fa un gesto
spazientito, riponendo sul tavolo il bicchiere vuoto.
«Senti, te la regalo io, Aurora Ferrari, per
un paio di notti. Te la meriti», mi sorprende.
Sollevo lo
sguardo dalle carte che mi sono ostinato a studiare, per osservarlo, incerto.
Il mio amico
sorride, sornione, raggiungendomi sui divani, per sedersi davanti a me.
Si sistema la
piega dei pantaloni sulle scarpe con tutta calma, per poi passare al colletto
della camicia sbottonata e incrociare i miei occhi diffidenti.
«Di cosa
parli?».
«Non dirmi che
non lo sai?», ridacchia, stirando il collo taurino.
La sua figura
massiccia si piega, recuperando dal tavolino la rivista che sfogliavo prima,
per fermarsi sul servizio dedicato alla Venere che non riesco a togliermi dalla
testa.
Mi agita sotto
il naso quelle forme patinate, come se non le conoscessi a menadito, per poi
esclamare:
«Aurora
Ferrari, rossa, bellissima e apparentemente irraggiungibile, è una delle
ragazze di Graziella Branvilla, ed è abbordabile alla modica cifra di diecimila
euro a notte».
Deglutisco,
faticando ad assimilare le ultime informazioni.
«Sei sicuro?»,
gli domando, stringendo gli occhi in due fessure.
«Che faccia!»,
ridacchia, lo stronzo, ma poi mi spiega:
«La titolare
della Fashion Model Management è una mia amica di vecchia data. Un tipo
in gamba, che conosco dai tempi del liceo».
«Vai al sodo»,
lo sollecito, brusco.
Patrizio non si
risente. Mi conosce troppo bene, per formalizzarsi.
«La tua rossa
l’ho vista a un paio di eventi e la tipa che avevo noleggiato mi ha detto che
lavorano per la stessa agenzia».
«Questo non
vuol dire nulla».
Scrollo le
spalle, maledicendomi per il senso di delusione che fa a cazzotti con la
speranza di poterla avere.
«Nat, fattene
una ragione. La tua Aurora Ferrari è una mignotta che per la giusta cifra te la
darà senza complicazioni».
***
Italia, Milano
Aurora
“Aurora, so che
è un orario insolito, ma ho urgente bisogno di parlarti. Riusciresti a passare
per l’ufficio? Resterò qui fino a mezzanotte”.
Riascolto per
l’ennesima volta il vocale che Graziella mi ha inviato, lanciando un’occhiata
all’orologio sul cruscotto della mia auto: le undici e un quarto.
La sede della Fashion
Model non è molto distante da dove mi trovo.
Ho approfittato
della giornata libera e della fine del mio rapporto con Simone, per passare una
serata con Iole e le altre mie amiche. Qualcosa di tranquillo, una cena,
durante la quale ho assaggiato delle foglie d’insalata e del pesce alla
griglia, ma la conversazione è stata buona e dopo settimane caotiche, mi sono
finalmente rilassata.
Fare il mio
lavoro comporta non pochi sacrifici, ma le cose negli ultimi mesi stanno
andando bene e Graziella si è detta orgogliosa del mio lavoro.
Forse è di
questo che vuole parlarmi. Le sarà pervenuta qualche proposta particolarmente
ghiotta che non può aspettare.
Mi decido a
girare la chiave nel cruscotto, ingranando la marcia.
Mezz’ora dopo
m’infilo nell’ascensore di vetro che mi conduce al decimo piano di quel palazzo
nei pressi del centro direzionale.
Abbasso lo
sguardo sui miei jeans sdruciti, risalendo alla giacca di velluto e ai capelli
raccolti dietro la nuca. Non sono neppure truccata.
Mi tocco le
guance.
Quando esco con
Iole e le altre ragazze, non bado a queste cose. Ci conosciamo da prima della
mia avventura nel mondo della moda e certi outfit sono davvero fuori luogo.
Faccio una smorfia, scrollando le spalle. Dubito che Graziella sia in
compagnia. È stata molto generica nel suo messaggio. Potrebbe anche essere già
andata via.
Approdo sul
pianerottolo, appena le porte dell’ascensore si aprono, e marcio fino alla sede
amministrativa dell’agenzia.
Pochi istanti e
riconosco il ticchettio dei tacchi di Graziella che anticipano il suo arrivo.
«Aurora!», mi
accoglie con un sorriso radioso, pochi istanti dopo, facendosi da parte per
farmi passare.
Deve aver
trascorso tutta la serata nel suo studio a lavorare.
Ha la camicetta
bianca, che di solito indossa sotto uno dei suoi tailleur pantaloni e giacca,
un po’ stropicciata, ma l’acconciatura è impeccabile, come suo solito. Sembra
appena uscita dalle mani sapienti di una delle nostre parrucchiere.
Anche il trucco
è perfetto: caldo, come il castano dei suoi occhi, preciso e chic.
Se fosse stata
più alta avrebbe potuto sfilare, tanto è graziosa la sua figura, ma come si
diverte spesso a ripeterci lei stessa: Madre Natura ha concentrato tutto nel
cervello sopraffino.
«Posso offrirti
un caffè, un tè, della tisana?».
Passa in
rassegna quanto Sofia ha sistemato sul mobiletto del caffè, alle spalle della
sua scrivania, rovistando tra bicchierini di plastica e cucchiaini, alla
ricerca delle cialde rimaste.
«Non
disturbarti per me. Sto bene così», le rispondo, guardandomi intorno.
È strano vedere
questo posto, di solito pieno di vita, con dipendenti che si muovono frenetici
da una stanza all’altra, avvolto nella penombra e nella calma della domenica
sera. Per non parlare della brasiliana che da un paio di anni ha sostituito la
vecchia assistente di Graziella: una trans dal corpo divino e la pelle liscia
come quella di un neonato.
Mi ha
consigliato delle maschere di bellezza che fanno miracoli. Ne sa davvero una
più del diavolo.
«Sicura?», mi
domanda ancora una volta Graziella, facendo cenno al suo caffè.
«Sicurissima»,
le confermo, seguendola nel suo ufficio, poco distante, per ritrovarmi in una
stanza ampia, con una scrivania sul fondo e alcuni divanetti a ridosso della
grande vetrata da dove si può ammirare lo skyline milanese di luci, palazzi e
manto nero.
«Accomodati».
La donna più
importante della mia vita, dopo mia madre, mi fa cenno di sistemarmi su uno dei
divanetti in pelle bianca, mentre recupera dei fogli dalla scrivania.
La assecondo,
guardandomi intorno. Al lato opposto dei sofà scorgo un tavolo da riunioni, con
delle sedie ben sistemate, che devono essere state aggiunte di recente, come le
immagini delle ragazze, che lavorano per l’agenzia, appese alle pareti. Sono
diverse da quelle che ho scorto l’ultima volta che ho messo piede in questo
posto. Un mezzo sorriso mi piega le labbra, appena riconosco uno scatto del mio
ultimo shooting fotografico: un metro e settantotto, lunghi capelli rossi al
vento e pelle di magnolia coperta da petali di rose gialle.
“La Venere di
Botticelli ha trovato un nuovo nome e un nuovo volto”, cita la rivista per cui
è stata fatta.
Mi fa ancora un
certo effetto sentirmi paragonare al capolavoro del noto pittore fiorentino, ma
Graziella non ha dubbi: una modella, se vuole spiccare il volo, deve
distinguersi dalle altre e la straordinaria somiglianza con Simonetta Cattaneo
Vespucci è sicuramente un elemento in mio favore.
Certo, Venere
che ingrassa, dimagrisce e invecchia mi crea non poco imbarazzo, ma io non sono
altro che una pedina nelle mani di esperti bravissimi nel creare illusioni.
Il mio mentore
ritorna da me, con il suo sguardo vispo e l’aria stanca.
Le sorrido, con
affetto, attendendo che si sistemi a sedere, per poi chiederle:
«Allora? Cosa
bolle in pentola?».
Mi accorgo
presto che, diversamente da quanto accade di solito, Graziella non sorride. È
piuttosto seria e nei suoi occhi si scorge persino un filo di preoccupazione.
Aggrotto la
fronte, dispiaciuta.
«È successo
qualcosa?», le domando. «Qualche cliente si è lamentato del mio lavoro?».
«Nulla di tutto
questo», sgombra il campo con un gesto deciso della mano. «Il tuo lavoro è
perfetto e la settimana della moda è stata ancora una volta un’occasione
preziosa per farci notare».
«Dunque?»,
trattengo il fiato, torturandomi le mani.
Quando
Graziella gira troppo intorno a una cosa, c’è sempre da preoccuparsi.
«Aurora, andrò
dritta al punto. Una persona molto importante nel nostro ambiente è interessata
a te e mi ha fatto una proposta che non posso rifiutare».
«Davvero? Chi
è?», le chiedo emozionata.
«Nathan Del
Vecchio».
«Il modello?»,
domando, incerta.
«In effetti, di
tanto in tanto, ci regala ancora qualche servizio fotografico e per qualche
vecchio amico continua a sfilare, ma oramai si concede davvero poco e tutte le
sue energie sono divise tra la NDV che rappresenta il suo marchio e la Medex,
la multinazionale che raggruppa alcune delle principali agenzie di modelle e
modelli». Fa una piccola smorfia, riflettendo ad alta voce:
«Mai nessun
modello è giunto tanto in alto».
«Vuole proporci
qualche lavoro?», cerco di tenermi sul pezzo.
«Ha contattato
la nostra agenzia, perché crede che tu faccia parte del nostro Special Book».
Sbianco a
quell’insinuazione e istintivamente mi ritraggo, sentendo le gote in fiamme.
Graziella me ne
ha parlato, pochi mesi dopo il mio arrivo alla Fashion Model. Le ragazze
che accettano di accompagnare clienti speciali dell’agenzia, fino a passare la
notte con loro, ottengono compensi extra e bonus sui contratti stipulati
dall’agenzia. Sarebbe stato un modo semplice per racimolare denaro ma,
nonostante ne avessi un disperato bisogno, ho glissato. Simone non me lo
avrebbe mai permesso ed io, con l’esperienza fatta con lui e il mio precedente
ragazzo, non avrei di sicuro potuto accontentare palati sopraffini.
«Sai bene che
io…».
«So che Simone
è molto geloso, ma mi è parso di capire che non state più insieme».
«Sì, è vero, ma
questo non significa…».
«Aurora, è una
grossa opportunità per l’agenzia».
«Non puoi
chiedermelo».
Scuoto il capo,
faticando a comprendere quanto sta accadendo.
«Hai sempre
detto che nessuna era tenuta a farne parte».
«Ed è così, ma
Nathan Del Vecchio non è un cliente qualunque ed è oggettivamente uno degli
uomini più fascinosi del pianeta».
«Neanche così»,
sibilo, alzandomi. «Non mi concederò mai a un uomo per soldi», le chiarisco,
con voce incrinata.
Non avrei mai
voluto trovarmi in una situazione del genere.
Devo molto a
Graziella. È stata l’unica a tendere una mano a me e a mia madre, dopo
l’allontanamento di mio padre, infatuatosi della sua titolare. Mi ha offerto un
lavoro, una casa, un sostegno psicologico per mia madre e una piccola cifra per
andare avanti nei primi mesi del mio ingresso in agenzia.
«Graziella…».
Non riesco a
parlare, mordendomi un labbro.
«Ti avevo
promesso che ti avrei tenuta fuori da questa storia, ma pare che Nathan Del
Vecchio abbia un debole per te e pur di averti nel suo letto è disposto a
firmare una collaborazione in esclusiva per due anni con l’agenzia». Si piega
sul divanetto, cercando i miei occhi.
«Capisci cosa
significa questo per tutti noi?», mi domanda. «Aurora, sono una montagna di
soldi e la possibilità per le ragazze di lavorare a dei livelli altissimi».
«Non puoi
chiedermelo», le ripeto, determinata a non cedere di un millimetro.
Graziella si
irrigidisce al mio ennesimo diniego.
Raddrizza la
schiena e abbassa lo sguardo sulla sua mano ingioiellata, dedicando la sua
attenzione a quell’anello con rubino che sfoggia all’anulare.
«Tesoro, non
avrei mai pensato di dover giungere a questo punto, dopo tutto quello che
abbiamo affrontato insieme ma, come comprenderai, non posso, per un eccesso di
pudore, perdere un’occasione così ghiotta: se non mi vieni incontro, dovrai
trovarti un altro garante per l’appartamento dove vivi con tua madre, e dovrai
anche restituirmi la macchina che ti ho concesso in questi mesi», solleva
lentamente le palpebre, per incrociare il mio sguardo, incredulo.
«Certo, potrai
contare su quanto hai messo da parte, per affrontare le difficoltà dei prossimi
mesi, ma ricorda che il contratto che hai firmato con la Fashion Model
ti lega in esclusiva alla mia agenzia per i prossimi cinque anni e se non
lavori, non guadagni».
«Non puoi farmi
questo».
La voce mi esce
strozzata.
«Devo farlo»,
mi assicura con una determinazione che ben conosco.
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