Translate

venerdì 6 settembre 2019

Prologo in anteprima de la Magnifica preda: l'ultimo romanzo di Marianna Vidal




Giornata anteprime quella di oggi. Così, dopo avervi presentato la cover dell'ultimo romanzo di Katia Arduini, Cuori in tempesta, vi facciamo leggere il prologo di Magnifica preda di Marianna Vidal. Una versione nuova e aggiornata de La preda più ambita.
Marianna ha rimesso mano a questa storia concepita più di venti anni fa, per regalarci una lettura come sempre piacevole, rilassante e palpitante insieme.
La storia a grandi linee è la stessa de La preda più ambita, ma è stata completamente riscritta e molto più spazio è stato dato a Micheal.
Il risultato? Un personaggio decisamente più caratterizzato, una storia più fluida e una scrittura più sentita.


Ecco a voi la trama:

È lui la preda più ambita nel mondo dello show business: bello, ricco e famoso. Micheal Turner si concede di rado e solo per parlare dei suoi film.
I giornalisti lo cercano, le donne farebbero follie per lui, ma Audrey Sanni non ha la più pallida idea di chi sia. Così, quando il padre le chiede di precederlo nella villa di Turner, accetta solo per compiacere il genitore, con cui ha un rapporto conflittuale. Ignora che da anni il suo destino è già stato deciso e che Micheal Turner è la chiave di tutto.
Una storia d'amore emozionante che si snoda tra l'Italia, l'Inghilterra e il Canada; una giovane fragile ed insicura alla ricerca di un amore tutto suo; una promessa che supera il tempo e le generazioni e un uomo, che tutte desiderano, perso dietro all'unica donna che sembra sfuggirgli.
Questi sono gli elementi salienti del nuovo appassionante romanzo di Marianna Vidal.







Un mese prima




Festival di Cannes, Montée des Marches



Micheal scese dalla limousine nera, sistemandosi il polsino della giacca, prima di aprire la portiera e attendere che la sua Ofelia approdasse ai margini di quel tappeto rosso che li avrebbe portati sotto i flash insistenti dei fotografi.
Sentiva le urla della gente invocare i loro nomi e serrò le labbra. Se c'era qualcosa del suo lavoro che non gli piaceva era proprio quel bagno di folla, a cui ogni tanto era costretto, per non inimicarsi il produttore di turno.
La sua versione di un classico come Amleto, dopo quella di Kenneth Baranagh, era stata un successo in patria e cominciava a riscuotere pari entusiasmo anche all'estero. Un risultato per nulla scontato, se si considerava l'attaccamento degli inglesi alle tradizioni, ma la sua versione moderna dell'opera del Bardo era stata capita e valutata positivamente, tanto da ottenere importanti riconoscimenti nelle diverse manifestazioni cinematografiche e quella a cui si apprestava a partecipare era una delle più importanti.
Scorse la mano diafana di Kate Andrews cercare la sua e si affrettò ad assecondarla, vedendola sollevarsi dai sedili posteriori, emergendo dall'auto come una Venere dalle acque.
I suoi occhi si soffermarono su quel viso impeccabile, sotto chili di trucco, che ne esaltavano l'indiscutibile bellezza mediterranea, per scendere lentamente al fisico statuario, fasciato in un abito da red carpet, bianco, stile impero, che metteva in risalto la fluente chioma scura. Il generoso decolté era esaltato da un collier di diamanti, che una famosa gioielleria le aveva prestato per l'occasione.
«Micheal».
La voce tonante di Anson Bennet lo sorprese alle spalle, prima che la mano grassoccia dell’uomo si poggiasse sulla sua spalla.
«Pensavo aveste deciso di darci buca all'ultimo minuto», rise sguaiato, arrestandosi di botto ed emettendo un fischio, non appena scorse la star della serata.
«Kate, sei uno schianto!», approvò guardandola dall'alto in basso.
«Grazie!», biascicò la mora, arpionandosi al suo braccio. «Stasera, gli occhi di tutti saranno su di noi», batté ripetutamente le ciglia, mettendo in mostra due penetranti occhi neri.
«Su di te lo sono sempre e per ovvi motivi», la lusingò il produttore, prima di posare il suo sguardo su di lui. «Ma il più atteso di questa sera, mia cara, è il signore al tuo fianco».
Micheal fece una smorfia, per nulla lusingato.
«Mi risparmierei molto volentieri la passerella, per sparire quanto prima all'interno della sala».
«Il solito guasta feste». Anson scosse il capo, cercando la complicità della sua bella che, visibilmente in disaccordo con lui, chiariva:
«Caro, non possiamo perderci il bagno di folla. Fa parte dello show!».
«Ha ragione Kate. È business». Anson gli fece il segno dei soldi con le mani. «E se te la dai a gambe, domani finirai sui giornali come il più scorbutico del festival».
«Come se me ne importasse qualcosa», bofonchiò, richiudendo la portiera dell'auto alle sue spalle e sentendo la vettura ripartire.
«Vorrei sapere che ci trovate voi donne in quest'uomo!», chiese crucciato Anson all'attrice al suo fianco che, scostandosi leggermente, si concesse una lunga occhiata approfondita, prima di affermare:
«Se non fossi sposata, gli proporrei di fare un figlio».
Suo malgrado increspò le labbra in un sorriso, tornando a guardare la figura bassa e tornita del produttore, che nonostante l'abito sartoriale non risaltava certo per la sua avvenenza.
«Donne!», scosse la testa il manager, rassegnato. «Non siete certo migliori di noi», bofonchiò, avviandosi lungo il percorso delineato per gli artisti, dove scorsero il resto del cast al completo.
«Ecco a noi il grande regista!».
Chester Donovac, che nel suo film aveva interpretato Amleto, sfoggiava una vistosa capigliatura rossa, che aveva coperto il suo biondo naturale, e vedendoli arrivare si prodigò in un cerimonioso inchino, per poi sfiorare il dorso della mano della sua Ofelia.
«Dici che al fianco della vera e unica star, qualcuno si accorgerà di noi?», le chiese, non troppo divertito.
«Di me, sicuro», garantì Kate, stringendosi al braccio del regista. «Sarò la donna più invidiata del Festival».
«La volete smettere di dire sciocchezze?», li zittì a disagio.
«Sciocchezze?».
Chester sgranò gli occhi, sollevando una mano in segno di saluto, mentre un gruppo di fotografi si accalcava dietro le transenne, urlando:
«Micheal da questa parte!».
«Turner sorridi!».
Sentì la mano dell'attore sulla sua spalla, mentre si avvicinava al suo orecchio, per ripetergli:
«Sciocchezze? Il nome di chi stanno gridando?».
Strinse gli occhi, sotto le lenti scure, costringendosi a guardarsi intorno. C'era una moltitudine di persone che spingeva contro le transenne e molti effettivamente urlavano il suo nome, con cartelli pieni di apprezzamento. Scosse il capo, sconsolato. Il regista non era quello che destava meno nell’occhio? Risvolti negativi del suo mestiere. Si affrettò a proseguire sul tappeto rosso, per sottoporsi all'assalto dei fotografi, che incalzavano il trio a muoversi a favore di obiettivo.
«Augurati che il film sia applaudito a lungo, Chester, perché altrimenti questa sarà l'ultima volta che ci incontriamo», sibilò, cercando di sorridere rilassato, mentre l'attore faceva capolino tra lui e Kate, con facce buffe che divertivano i fotografi. «Ora è colpa mia se madre natura, oltre al talento, ti ha dotato anche di un fisico scultoreo e la faccia di un angelo?».
«Lo uccido sotto gli occhi di tutti o gli concedo un'altra occasione?».
Le iridi scure della sua Ofelia scintillarono divertite.
«Mio caro, prima o poi passerai anche tu davanti alla macchina da presa. È il tuo destino!».
«Non accadrà mai», gli assicurò, ma Kate, al pari di Chester, si divertiva troppo a stuzzicare la sua ritrosia, per cui cercò il produttore, che sentendosi chiamare in causa si avvicinò cauto, allungando il collo.
«Finanzieresti un film con Micheal protagonista?».
Gli occhi piccoli e vispi dell'inglese brillarono entusiasti.
«Ci stai pensando?».
«Piuttosto mi sposo», gli assicurò, ottenendo in risposta una grassa risata.
«Così, metà popolazione femminile sarà a lutto per almeno una settimana».
«Un mese!», garantì Kate, lanciandogli un bacio al volo, immortalato dai fotografi.
«Domani tuo marito chiede il divorzio», l'avvisò Chester, prima di immergersi nel bagno di folla, firmando autografi.

***

  

Londra, Inghilterra

L'ultima cosa che gli mancava in quel momento era sapere che sua figlia lavorava in un pub di quarto ordine e frequentava uno squattrinato di nome Joy.
Antonio Sanni si passò nervosamente una mano tra i capelli, risalendo le scale di quel palazzo fatiscente, nei sobborghi di Londra, dove non c'era neppure l'ascensore. Ah, ma questa storia doveva finire! Audrey doveva mettere la testa a posto, rinunciando a questo comportamento insulso, che ostentava da quando aveva finito gli studi. A cosa erano serviti tutti i soldi che aveva speso per mandarla a scuola nei migliori istituti europei, se alla fine si comportava come un'adolescente problematica, che rivendicava l'attenzione dei genitori?
Questa volta l'avrebbe sentito! Non aveva più quindici anni, ma venticinque e sua madre l'aveva persa quando era bambina. Era stato un trauma, sì, lo capiva, e lui aveva fatto del suo meglio per starle vicino, ma ora doveva darsi una mossa e rimettersi in carreggiata, se non desiderava essere sbattuta fuori di casa, una volta per tutte.
Si ritrovò davanti a una porta anonima, che riportava il numero indicato sul foglio: duecentotrenta. Tirò fuori dalla tasca il biglietto su cui la segretaria aveva annotato l'ultimo indirizzo di sua figlia e allungò la mano al campanello. Lo suonò, con una certa insistenza, e dopo qualche minuto sentì la voce impastata di Audrey imprecare da lontano. Sollevò il braccio, controllando l'orologio. Erano le tre del pomeriggio e sua figlia probabilmente stava ancora dormendo.
Sentì lo scatto della serratura e arretrò di un passo, per vedere apparire sulla soglia l'algida figura di Audrey in pigiama, con i capelli rossi arruffati, e il viso assonnato, che lo scrutava incredula.
«Cosa hai fatto ai capelli?».
La voce gli era venuta meno.
Audrey si portò istintivamente una mano sulla testa, per poi sbuffare.
«Sono rasta».
Gli voltò le spalle, proseguendo lungo il corridoio e chiedendogli:
«Cosa ci fai qui?».
«È quello che vorrei sapere da te», la seguì, guardandosi intorno disgustato. Quel posto era un buco, con un piccolo salotto, un angolo cucina pieno di piatti sporchi e uno odore di stantio che gli dava il voltastomaco.
«Come fai a vivere in queste condizioni?», brontolò, diffidente, ma era più una sua riflessione, che una vera domanda.
C’era una porta, al lato opposto del salotto in disordine, da dove gli era parso di scorgere l’ombra di qualcuno.
 «Chi c'è con te?».
«Nessuno!», gli assicurò, frettolosamente.
Si mosse, deciso a verificare di persona, ma l’urlo di sua figlia lo bloccò.
«Non hai nessun diritto di entrare in questo modo nella mia casa!», sbraitò, collocandosi davanti alla porta e chiudendola dietro le spalle.
Non c’erano dubbi. Era andata a vivere con quel soggetto improponibile.
«Spostati», le intimò.
Lei scosse il capo, con gli occhi pieni di lacrime, ma non si lasciò commuovere. Le poggiò una mano sul fianco e la sospinse di lato bruscamente.
«Ho il diritto di entrare dove mi pare, visto che sono io che ti pago questo tugurio», commentò disgustato. «Anzi, dove hai messo i soldi che ti mando mensilmente?».
Audrey abbassò lo sguardo sul pavimento, incapace di guardarlo.
«Non li ho toccati», farfugliò.
Aggrottò la fronte.
«Come?».
«Non li ho toccati». Audrey alzò la voce.
«Che cos'è questo baccano?».
Un tizio dai lunghi capelli neri sciolti sulle spalle apparve a torso nudo sulla porta laterale, che dava accesso a quello che si presupponeva fosse la camera da letto.
«E questo chi sarebbe?».
Al pari di sua figlia sembrava essersi appena svegliato.
«È Joy, il mio ragazzo».
«Joy?», le chiese, inarcando un sopracciglio.
«Il tuo vecchio?», domandò l'interessato, puntandogli addosso un paio di occhi neri, ancora appannati.
«Sono suo padre, non il suo vecchio», specificò irritato.
«Vi lascio alle vostre chiacchiere» lo liquidò il tizio, piegandosi nelle spalle e passandosi una mano sul petto, mentre cercava con lo sguardo sua figlia.
«Hai qualcosa in frigo? Ho fame».
«Sì, ho fatto la spesa ieri», si preoccupò di fargli sapere quella che sulla carta continuava a essere una sua erede.
Attese che l’improponibile sparisse dalla sua vista, per poi tornare ad Audrey.
«Ti concedo tre giorni per liquidare quel tizio, fare i bagagli e tornare a Milano». Lanciò un ultimo sguardo al salotto, girando sui tacchi.
«E se non dovessi ascoltarti?», gli domandò impertinente sua figlia.
Attese qualche istante, infine, si voltò a guardarla. Aveva perso l'espressione imbambolata di quando era arrivato, e ora lo guardava imbronciata.
«Licenziati dal pub e lascia questo tugurio», le rispose con calma.
«Sono maggiorenne e non devo darti conto della mia vita», s'impuntò.
«Sì, sei maggiorenne», convenne. «Ma io sono tuo padre e finché porterai il mio cognome rispetterai la famiglia che te lo ha dato».
«Non puoi parlare sul serio!».
«Posso e lo faccio».
«Ti odio!», gli urlò, mentre lo seguiva lungo il corridoio.
Finse di non ascoltarla, fino a quando non raggiunse l'ingresso. Solo a quel punto si voltò.
Audrey, la sua bellissima Audrey, così simile alla sua sfortunata madre, con il volto di un angelo e il fisico di una modella, lo fissava imbronciata.
«Ti aspetto a Milano. Vieni a vivere da me e inizi a lavorare alla Sanni & Beauty».
«Parli sul serio?», farfugliò, incerta.
L’aveva stupita.
«Hai una settimana per organizzarti. Se non vieni, i nostri cammini si divideranno per sempre».


 Se questo assaggio vi è piaciuto, sappiate che esce il 14 settembre su Amazon e sarà disponibile anche in lettura gratuita con Kindle Unlimited.
Se temete di dimenticare questo acquisto, prenotatelo fin da ora. Vi sarà consegnato sul vostro Kindle il giorno dell'uscita.

Nessun commento:

Posta un commento