Esce sabato, ma oggi sbirciamo in anteprima il primo capitolo...
Emozione, ansia, amore. Questa storia mi ha fatto sudare sette camicie, ma il risultato finale mi ha lasciato con gli occhi al cuore.
Ora lo regalo a voi.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Priscilla
«Non ti sei ancora cambiata?».
Sgrano
gli occhi, cercando di mettere a fuoco cosa mi stia dicendo mia cugina che,
elegantissima nel suo abito da sera azzurro che le carezza la figura minuta, continua
a parlarmi come se potessi sentirla.
Mi
tiro a sedere, sfilandomi le cuffie con cui ascolto la musica, e lancio
un’occhiata alla mia tuta grigia che stride con l’eleganza di lei.
«Ti
sei accorta di che ora è?», mi rimprovera crucciata.
Istintivamente
mi guardo intorno. Il salotto sembra in ordine. I cuscini sul divano sono
perfettamente allineati in un angolo, e non ci sono mie giacche lasciate sul
mobilio chiaro. Anche all’ingresso, tra il guardaroba e la finestra, non scorgo
scarpe.
«Abbiamo
ospiti?», chiedo, sorpresa, a mia cugina, che ora mi osserva palesemente
incredula, quasi offesa.
«Holly,
non dirmi che te ne sei dimenticata!».
Le
sue iridi azzurre rifulgono di luce sinistra.
«È
grave?», le chiedo titubante, mordendomi un labbro.
A
giudicare dall’abito che indossa, deve essere qualcosa di piuttosto formale. Ha
persino la pochette!
«Cazzo!
La festa del capo di Patrick!», a un tratto tutto mi torna in mente, con
imbarazzante chiarezza. Balzo in piedi, mortificata. «Ivy, scusami», le afferro
le mani tra le mie. «Pensavo di avertelo detto!». Ricaccio indietro un ricciolo
che mi cade sugli occhi. «Non posso venire con te e Patrick. Non stasera».
«Stai
scherzando, spero!».
La
mia cara cuginetta che da un paio di anni si è trasferita a vivere a New York,
nel mio loft, nel quartiere di SoHo, con la speranza di affermarsi come
attrice, proprio ora che è sul punto di realizzare il suo sogno, mi lancia
un’occhiata truce, come se le avessi ucciso il gatto.
«Holly,
me lo avevi promesso!», sbotta, con voce stridula. «Patrick ha garantito la
presenza di Priscilla Heart al signor Reynolds e, anche se non è prevista una
tua esibizione, la tua assenza non passerà inosservata. Penseranno che lui… e
che io…». Arrossisce fino alla radice dei capelli. «Holly, non puoi farmi
questo! Io ci tengo a Patrick», geme, come se fosse sul punto di scoppiare in
lacrime.
L’azzurro
dei suoi occhi s’incupisce ed io mi sento terribilmente in colpa. Fino a pochi
anni fa, quando vivevamo entrambe ancora nei sobborghi di Londra, e a casa mia c’era
spesso baruffa, questa donna mi accoglieva nella sua stanza senza pormi domande
e attendeva pazientemente che fossi io a confidarle cosa stava accadendo alla
mia famiglia.
«Ho
le prove con i ragazzi», cerco di spiegarle, sinceramente dispiaciuta. «La
settimana prossima devo presenziare come ospite a un Festival e abbiamo una
nuova coreografia».
«Appunto,
lo hai detto tu stessa: hai sette giorni davanti a te», non molla, posando i
suoi occhi lucidi su di me. «Ti prego, solo stasera».
Sono
tentata. Potrei chiamare Peter… Slitterebbe tutto a domani pomeriggio, ma… No,
meglio di no. Scuoto brevemente il capo, sempre più risoluta.
«Scarica
tutta la responsabilità su di me», risolvo, già più leggera. «Di’ al tuo Patrick
che mi hai lasciata sul divano, troppo sbronza per reggermi in piedi», scrollo
le spalle, con noncuranza. «Non è poi così inverosimile, no? Le star sono note
per i loro eccessi».
«Holly,
la smetti?». Ivy mi guarda truce. «Quando
fai così ti detesto», mi chiarisce, con il broncio. «Qual è la verità?», mi
chiede, invitandomi a tornare sul divano con una piccola spinta sul fianco. La
assecondo e qualche istante dopo anche lei siede accanto a me. «Davvero non
puoi rimandare a domani le tue prove o c’è dell’altro?».
Le
sue mani indiscrete iniziano a farmi il solletico. È una cosa che non sopporto.
Inizio a ridacchiare e a divincolarmi, nel tentativo di sfuggire alle sue dita
che s’infilano sotto la maglia della tuta.
«Smettila!»,
la imploro, ridacchiando. La colpisco alla cieca, sulle mani, sulle spalle, sul
petto. «Smettila!», le ripeto, in uno scroscio di incontenibili risa. «E va
bene!», cedo, vinta. Scivolo più indietro e mi ritrovo a guardare il volto
luminoso e attento della mia biondissima cugina che non mi somiglia per niente.
Tanto lei è piccola, mingherlina e graziosa, tanto io sono alta, mora, snella e
prorompente nelle mie forme che mi accompagnano sul palco in un’immagine sexy
che mi sta assai stretta.
«Allora?»,
rivendica la sadica, pronta a tornare all’attacco. «Qual è il motivo per cui ti
stai tirando indietro?».
«Perché
pensi che il capo di Patrick voglia conoscermi?», la invito a ragionare.
«Perché
apprezza i tuoi pezzi?», rilancia lei e ha anche il coraggio di guardarmi negli
occhi, come se fosse convinta di quello che dice, ma alla mia occhiataccia
truce, si scioglie in una risata. «E va bene! Sebastian Reynolds ha un debole
per te», confessa e alla mia espressione esasperata, si accalora, spiegandomi:
«Holly,
è uno schianto».
«Non
mi interessa», mi libero delle sue mani, per marciare in cucina. Questa è stata
ricavata in uno spazio dell’openspace suddiviso tra salotto e sala da pranzo.
Un tempo era lo spogliatoio dove le modelle si preparavano. Lancio un’occhiata
alle mie spalle. Non resta molto dello studio fotografico degli anni Novanta,
ma nel complesso l’appartamento, a due piani, ha conservato una sua spiccata
personalità.
Scuoto
il capo e mi soffermo sulla lattina di Coca Cola Light che tiro fuori dal
frigo, in stile vintage.
«Ne
vuoi anche tu?», propongo alla mia stalker che mi ha raggiunta e, con le mani
sui fianchi, mi osserva contrariata.
«Holly,
non puoi continuare in questo modo», mi dice, con la fronte crucciata e
un’espressione battagliera. «Non si vive di sola musica», tuona, determinata a
non lasciarmi in pace, finché non mi avrà detto tutto quello che pensa. «Quanto
tempo è trascorso dall’ultima volta che ti sei concessa una storia? Una storia
vera, non una scopata da una notte e via?».
«Smettila»,
le intimo, turbata. Non voglio pensare a Henry né tantomeno alla fama che mi
accompagna, da quando la mia carriera è diventata qualcosa di serio.
«Non
verrò alla festa di questo tizio… Come hai detto che si chiama?». Schiocco le
dita, fingendo di non ricordarmi il suo nome.
«Sebastian…
Sebastian Reynolds», scandisce con ammirevole calma, ma non si lascia deviare
e, pochi istanti dopo, mi ripete:
«Anche
tua madre la pensa come me ed è molto preoccupata».
La
dribblo, decisa a salire in camera mia. Non ho alcuna intenzione di sorbirmi la
storia della mamma inquieta per la mia vita sentimentale. Se oggi sono
Priscilla Heart, la regina del pop versione ultra sexy, lo devo a lei e alla
sua incapacità di scegliersi un uomo con gli attributi.
«Mia
madre è l’ultima persona da ascoltare su questo tema», le ricordo, prima di salutarla
con un cenno della mano.
«Non
tutti gli uomini sono come tuo padre». Ivy mi raggiunge sulle scale che
conducono alla zona notte, parandosi davanti a me, con la sua aria contrariata.
«Prendi Patrick», insiste con ammirevole orgoglio. «Quando gli ho detto che per
il momento non volevo figli, per concentrarmi sulla carriera, lui ha capito e
mi sostiene».
«Buon
per te!», osservo, non molto convinta. Per me gli uomini si suddividono tra
quelli da scopare e quelli da evitare come la peste. In ogni caso, a nessuno
dei due, di solito, è concessa una seconda chance. Così le dico:
«In
ogni modo, per stasera, mi dispiace, ma non posso mandare a monte la serata con
i ragazzi, senza poi sorbirmi la lavata di capo di Alice».
«Alice
dovrebbe ricordarsi che se gira in Porsche lo deve a te», bofonchia contrariata
la mia coinquilina, che non ha mai sopportato il piglio da donna in carriera
della mia agente. «A parte questo…». Armeggia nella borsetta che si è
trascinata dietro per qualche istante e alla fine ne tira fuori il cellulare.
«Cosa
fai?», le domando, incerta.
«Avviso
Patrick che sono in ritardo e gli chiedo di girarmi il numero del suo capo».
«Per
fare cosa?», mi accorgo che la mia voce suona un po’ allarmata, come se davvero
questo Reynolds mi spaventasse in qualche modo.
«Be’, se non vieni con noi alla festa, il
minimo che puoi fare è dirglielo di persona». La scaltra giocatrice inarca un
sopracciglio ed io torno a respirare, mentre le faccio notare:
«Non
ho alcuna intenzione di contattare un tipo di cui non m’importa nulla, per
dirgli che ho altri impegni. Senza contare che, se lo facessi, lui si
memorizzerebbe il mio numero e difficilmente me lo toglierei dai piedi. E tutto
questo, solo per fare un favore al tuo Patrick dalla lingua lunga».
«Be’,
se la tua preoccupazione è questa…». Sorride, incoraggiante. «Chiamalo con il
mio!». Mi porge il suo telefono.
«Hai
il numero del capo di…».
Le
parole mi muoiono in gola, mentre i miei occhi mettono a fuoco, sullo schermo
dell’iPhone, il volto di un uomo sui trentacinque anni, dalla carnagione
abbronzata, folti e mossi capelli corvini e due occhi color zaffiro che
trafiggono chi lo guarda. Da scopare, grida una parte di me, ma l’altra
mi ricorda con maggiore determinazione: guai in arrivo!
«Sebastian
Reynolds», mi spiega Ivy, con una nota divertita nella voce. «Quello che non
vuoi incontrare».
«Io
non ho detto…».
La
stronza, con le mani sui fianchi e lo sguardo provocatore, mi sfida a contraddirla.
«Non
è vero che ho paura di lui», le assicuro, risentita. «Non ho paura di nessuno e
tantomeno di uno come lui…», gli lancio una nuova occhiata. Cazzo, ha qualcosa
di veramente interessante. Non è uno di quelli che appena lo vedi pensi a una
versione di Ken. Ha la bocca larga, il naso non proprio dritto, gli occhi
troppo grandi e invadenti, ma nel complesso… Nel complesso si nota e attizza.
Attizza persino una tipa come me, che con gli uomini ha chiuso. Mi riscuoto,
decisa a porre fine a questa discussione inutile. «Non ho nessuna voglia di
difendermi dall’assalto predatore dell’ennesimo bavoso che pensa di potermi
avere solo perché sul palco appaio il più delle volte mezza nuda e ammicco alla
telecamera come se volessi scoparmi tutti gli uomini del mondo», provo a
restituirle il telefono.
Lei,
tuttavia, se la prende con comodo. Sorride, mentre osservandomi di sottecchi,
mi fa notare:
«Reynolds
e la parola bavoso nella stessa frase stonano non poco, ma a parte questo…». La
cretina ridacchia. «Patrick parla di lui come un uomo molto razionale, capace
di dominare i suoi istinti, e che si sappia, non è mai saltato su una donna,
senza che lei ne fosse compiaciuta».
Le
ficco nella mano il telefono, con una certa urgenza, come se scottasse.
«Non
è il mio tipo», le ribadisco.
«Ne
sei sicura?».
Ivy
mi osserva dubbiosa ed io non ci penso ulteriormente. Mi alzo e le dico:
«Se
tu sei disposta a rischiare che io assesti un calcio nelle palle al capo del
tuo amore, io non ho nessun problema a spostare le prove della mia coreografia
a domani».
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