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giovedì 30 gennaio 2025

Demetrio Torres e il suo mondo

 Per la rubrica "Un personaggio per amico", oggi parliamo di Demetrio Torres, il protagonista di "Prendimi al laccio", mio romanzo di qualche anno fa.


Abituato alla terra, alle agavi, alla fatica e al sudore, ha imparato sulla sua pelle che, anche se ormai è solo un gradino più in basso del patron, non può permettersi di dire no a chi gli ha dato un tetto, un lavoro e una speranza.



Avere come segretaria la figlia del capo, però, anche no!
Lo sanno tutti che lui è un tipo concreto! E lei? Frivola, bionda e mondana sarà solo una spina nel fianco.
Una spina che si è conficcata nel suo cuore, tanti anni fa, e che ora sta per ricordargli che Anna Alvarez non diventerà mai la signora Torrez!

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mercoledì 29 gennaio 2025

Tutto l'amore che voglio di Corinne Michaels

Oggi vi propongo “Tutto l'amore che voglio” di Corinne Michaels, Belonging, della Always Publishing, pubblicato nel 2019.



Ecco a voi la trama:

Dopo il bestseller Consolation, torna la penna emozionante di Corinne Michaels.
Catherine Pope ha una sorte terribile in fatto di uomini; a cominciare da suo padre, fino ad arrivare al suo ex-fidanzato, che l’ha tradita poco prima delle nozze, ogni uomo della sua vita l’ha fatta sentire insignificante, immeritevole di essere amata davvero.
E così, quando i suoi sentimenti per la seconda volta vengono traditi e calpestati, non le resta altra scelta che sollevare delle alte mura intorno al suo cuore, per non permettere mai più a qualcuno di entrarci.
Fino a che Catherine non inciampa letteralmente in Jackson; si tratta solo di un incontro fortuito, ma il destino si diverte a rimettere questo magnetico sconosciuto sulla sua strada.
Da ex Navy-Seals, Jackson è un uomo abituato a combattere con tutte le sue risorse e, complice la bruciante chimica che nasce tra loro, riuscirà facilmente ad abbattere le difese di Catherine. Ma solo per trovarsi davanti a mura più alte, fatte di dubbio e di paura.
Jackson e Catherine sono due anime danneggiate, insieme trovano conforto e sollievo, ma riusciranno anche a trovare la forza di perdonarsi e ricominciare ad amare?

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sabato 25 gennaio 2025

Sarà per sempre di Judith McNaught

Autrice bravissima, famosa in tutto il mondo per i suoi romanzi sentimentali, ha una penna che adoro.

"Sarà per sempre" è molto carino, scritto benissimo, con un'ottima ambientazione. Se amate i romanzi d'amore storici che sappiano farvi sognare, ma con gli occhi aperti, questo libro fa per voi. C'è la storia, la capacità di raccontarla, l'amore per i dettagli che non appesantiscono la lettura, l'attenzione per le caratterizzazioni. Nulla è lasciato al caso. Brava Judith, bello il libro.





Questa la trama, così magari lo recuperate:


Inghilterra, 1815. Victoria Seaton è cresciuta in un modesto villaggio in America. Rimasta orfana, si imbarca per il Vecchio Mondo per reclamare la propria eredità e il posto che le spetta nell'alta società. Quando giunge a Wakefield, sontuosa dimora del lontano cugino lord Jason Fielding, rimane colpita dall'eleganza formale del luogo. Ma è anche disorientata dal comportamento arrogante dell'uomo che, con i suoi modi bruschi, a tratti crudeli, terrorizza ogni debuttante. Tuttavia, Victoria non può non sentirsi attratta dalla sua grazia felina e dalla sua virilità e non essere toccata dai ricordi dolorosi che riesce a intravedere nelle profondità dei suoi occhi. Dal canto suo Jason, incapace di resistere al fascino e allo spirito indomito di Victoria, cede al desiderio trascinandola in una passione travolgente. Un amore che potrebbe durare per sempre, se solo riuscisse a liberarsi del passato...


P.S. A me piace tanto anche la cover, elegante, essenziale ed evocativa.

venerdì 24 gennaio 2025

Uno sbaglio chiamato amore e il suo inizio

Per la rubrica "Un capitolo del mio libro" oggi vi propongo "Uno sbaglio chiamato amore", un New Adult che mi ha dato qualche soddisfazione.



Questa la trama:


Le brave ragazze dovrebbero stare alla larga dai tipi come lui.
Leo Mancini è uno che i problemi non li cerca, li attira.
Bocciato al quinto liceo a Milano, si trasferisce a Roma per volere dei genitori, ma quando il padre gli comunica che a sorvegliarlo ci sarà una di quelle...
Davvero qualcuno cede al fascino del bello e dannato?
Martina fila dritto o almeno ci prova, ma quando il fidanzato della madre, che è finalmente un tipo serio e affidabile, le chiede di tallonare suo figlio...
Le maestrine del cazzo, che fingono di sapere tutto della vita, Leo non le sopporta. Sono sempre pronte a salire sul pulpito per sputare sentenze, salvo poi rimangiarsi tutto alla prima cotta, ma per sua fortuna tanta virtù si concentra spesso in tipe poco fighe e a lui le ragazze piacciono belle.
Chi ha detto che la secchiona della classe debba essere anche cessa?
Leo Mancini ha trovato pane per i suoi denti! Il segreto, con i tipi come lui, è: mai lasciarci il cuore.


Prologo




«Ragazze, oggi è il giorno più bello della mia vita!».
Mia madre entra nella camera che divido con mia sorella, spalancando la porta e accendendo la luce.
Stringo gli occhi, faticando ad aprirli.
Che ore sono? Credo di essermi addormentata da poco, ma forse mi sbaglio.
«Mamma!!!», brontola mia sorella, nel letto a castello sotto il mio. «È notte!».
Ecco! Non era solo una mia impressione. Ci siamo addormentate prima che Jessica tornasse dal suo appuntamento. Mi copro il volto con le mani, cercando di mettere a fuoco la situazione.
«Oh, ragazze, sono le due», geme la sciagurata genitrice. «Buonanotte!».
Gira sui tacchi, ma non la lascio tornare nella sua stanza.
«Immagino sia andato tutto bene», rilancio, decidendomi a scivolare fuori dal piumone, per permettere all’adrenalina di mia madre di avere una giusta soddisfazione.
«Sì, è andato tutto bene, ma ne parliamo domani».
La sento armeggiare con la borsetta, mentre recupero gli occhiali da vista, riposti sulla mensola, per inforcarli.
Indossa ancora l’abito da sera che Vittoria le ha aiutato a scegliere, ma il rossetto è sparito dalle labbra e i capelli non sono più acconciati come ricordavo.
«Lo rivedrai?», le domando, schiarendomi la voce.
Jessica si arresta di spalle, girando lentamente su se stessa, con uno strano luccichio negli occhi, ma poi il suo sguardo si abbassa su mia sorella e con voce leggermente roca, mi dice:
«Vieni in salotto».
Provo a farlo, ma Vittoria si oppone.
«Non penserai davvero di escludermi da queste confessioni notturne, ora?».
«Hai ragione!».
Jessica rinuncia a ogni remora, facendomi cenno di raggiungerla, per sistemarci tutte sul lettino di mia sorella.
«Si chiama Paolo. È di Biella, ma da cinque anni è stato trasferito a Roma».
«Quanti anni ha?», domando a mia madre che, prima di rispondermi, passa da me a mia sorella, facendomi fremere per la paura.
L’ultimo aveva quindici anni meno di lei e se consideriamo che nostra madre non ne ha ancora quaranta…
«Cinquantotto», scandisce con una certa soddisfazione.
«Come lo hai conosciuto?», s’interessa Vittoria, arrotolando i lunghi capelli biondi dietro la nuca, ed io cerco di non fissarmi, ancora una volta, su quanto mi senta fuori da questa famiglia.
Insomma, da una madre bionda con gli occhi azzurri, come posso essere stata generata io, dalla pelle ambrata, i capelli ricci e neri e gli occhi di un blu mare che chissà a chi sono appartenuti?
«L’ho conosciuto in negozio».
«Ci stai dicendo che hai abbordato uno che è venuto a comprare lingerie?», le domando, incapace di non dare voce ai miei pensieri.
Insomma, a una certa ora della notte, controllarsi può essere davvero difficile.
«La lingerie non era per lui».
«Me lo auguro». Vittoria ridacchia, strappandomi un sorriso. «Vendi solo biancheria femminile!», le ricorda.
«Ah, ragazze! Siete davvero impossibili».
Si irrita nostra madre, alzandosi.
«Non ci lascerai proprio sul più bello?».
Vittoria geme, allargando le braccia e Jessica si commuove, avvolgendo anche me.
Ci bacia sul capo e si raddrizza nuovamente, per specificare:
«Paolo era con una collega…».
I miei occhi incrociano quelli di mia sorella, ma nessuna di noi proferisce parola.
«Non siate maliziose. Era una collega. Una vera collega», ci tiene a precisare. «Cercavano qualcosa per il compleanno di un’amica comune; una tipa un po’ eccentrica, e insomma… Per non farla troppo lunga, mi ha lasciato il suo numero di cellulare. Io l’ho chiamato e così…».
«Siete andati a cena insieme», finisco per lei.
«Sì», sospira.
«E com’è?», domanda Vittoria.
«Affascinante, intelligente e simpaticissimo», rispondo al posto di mia madre, che mi guarda truce.
«Lo è davvero!», mi garantisce, ostile.
«Smettila!».
Vittoria mi dà uno schiaffetto.
«Come si chiama?».
«Paolo ed è un cardiologo».

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Sei mesi dopo
Sulla strada per Roma


«Martina?».
Vittoria mi agita una mano davanti agli occhi, con la testa infilata tra i due seggiolini della Panda di nostra madre, cercando di attirare la mia attenzione.
Sbuffo, rinunciando ad ascoltare l’ultimo pezzo di Mahmood, per sfilarmi dalle orecchie le cuffiette e capire cosa possa essere successo ora.
Ho guidato per quasi due ore, sull’autostrada che collega Napoli a Roma e per essere una fresca patentata me la sono cavata abbastanza bene.
Ora spetta a mia madre fare la sua parte.
È lei che ha passato gli ultimi due fine settimana in quella che, a suo dire, sarà la nostra nuova casa.
Dunque, guardo con palese sopportazione la mia bionda sorella, per notare ancora una volta quanto le stia bene il suo nuovo taglio: un caschetto corto sulla nuca e lungo sul viso, che le sfiora le spalle abbronzate.
Mi porto una mano alla mia criniera di riccioli scuri. Domarli è un’impresa ardua. Così mi sono rassegnata a portarli lunghi, ma con il caldo li tengo sempre legati e neanche le raccomandazioni di mia madre, di vestirmi come una signorina che sta per andare a vivere all’Olgiata, mi hanno fatto rinunciare alla crocchia dietro il capo.
«Martina!», ripete ancora Vittoria e questa volta anche mia madre si unisce a lei.
Sollevo gli occhi al tettuccio dell’auto, per poi alzare la voce:
«Cosa c’è?».
«Ci siamo perse», mi informa Jessica, con una nota allarmata nella voce.
«Com’è possibile?», le domando, crucciata, guardandomi intorno.
In effetti, l’Olgiata, per quello che ho visto in rete, è un po’ la Beverly Hills nostrana, con un succedersi di ville milionarie, strade ben tenute e spazi verdi che sembrano finti.
Intorno a noi, invece, scorgo solo cemento e costruzioni di provincia.
Provo a girarmi, stretta tra valigie e borsoni, sistemati sul sedile posteriore dell’auto, dove mi sono riservata un piccolo spazio per me.
Niente. Anche alle nostre spalle il paesaggio non cambia.
Come ho fatto a fidarmi di mia madre?
«Il navigatore?», domando, cercando di non perdere la calma.
«Non funziona», geme Jessica, in preda a una crisi di nervi.
«Ok!», alzo la voce, cercando di placare una delle scenate isteriche di mia madre. «Accosta alla strada», le dico, lanciando uno sguardo a mia sorella che mi osserva rassegnata.
Mai che vada tutto come previsto.
È un classico per noi.
«Accosto», si ripete Jessica, lasciando passare un’auto, per poi fare quanto le ho chiesto.
«Lo sapevo che venire con la nostra auto non sarebbe stata una buona idea», bofonchia, tirando il freno a mano.
«Invece è stata un’ottima idea», le assicuro, scivolando fuori dal veicolo, per guardarmi intorno, alla ricerca di qualche elemento che mi faccia capire dove siamo finite.
«Ci siamo perse?».
Vittoria mi affianca, con aria avvilita.
«Risolviamo. Non preoccuparti», la rassicuro.
«Come?».
Mia madre, pantaloncini bianchi e canotta Armani, mi raggiunge, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
Vorrei ricordarle che tra noi due sono io la figlia, ma sarebbe un discorso inutile e unidirezionale.
Jessica è fatta così: prendere o lasciare.
Vive costantemente con la testa tra le nuvole e devo riconoscere che Paolo Mancini è l’uomo giusto per lei: solido, concreto, affidabile e ricco.
Non avrebbe potuto trovare di meglio e rischia di non raggiungerlo mai.
«Vado a bussare a quelle case sul fondo».
«Sei impazzita?».
Vittoria mi trattiene.
«Non sappiamo chi sono».
«Sì, non lo sappiamo, ma dubito siano dei rapinatori».
«Vengo con te».
Si offre la mia coraggiosa sorella, ma la nostra genitrice, in un moto di orgoglio, mi scansa, per chiarirci:
«Voi restate qui. Ci vado io».
«Lo ha detto davvero?», mi domanda mia sorella, mentre io osservo la donna che ci ha messo al mondo procedere, dondolante, su dei sandali tacco dodici, lungo la strada pianeggiante, fino al cancello che ho scorto sulla destra, con le spalle dritte e i capelli corti e biondi, leggermente arruffati.
Non faccio in tempo ad avvisarla che le dita laccate di rosso di Jessica affondano tra quei fili d’oro, cercando di mettere ordine.
«Sempre sul pezzo», ridacchia Vittoria che, diversamente da me, può contare sempre su suo padre.
«Sicura di non voler restare a Napoli con Fabrizio?».
«E lasciare a te la villa con la piscina?».
La degna figlia di nostra madre mi scaraventa sul petto il suo zaino, affrettandosi a seguire Jessica.

mercoledì 22 gennaio 2025

Il diavolo ha gli occhi azzurri di Lisa Kleypas

 Oggi, per la rubrica "Romanzi da recuperare", vi propongo il secondo volume della serie Travis di Lisa Klaypas.

Romanzo autoconclusivo, pubblicato nel 2010, dalla Mondadori, vale la pena di essere letto.
Scritto bene, con un protagonista che già nel romanzo precedente, "Sugar daddy", si faceva notare, dà speranza a chi l'ha persa, soprattutto in amore.




Vi lascio la trama:

Hardy Cates è un uomo affascinante e ambizioso, un milionario nato in una famiglia povera, che ha costruito la propria fortuna da solo. Ed è detcrminato a portare avanti una sua vendetta privata contro i più ricchi petrolieri di Houston, i Travis. Haven è la figlia ribelle dei Travis, tornata a casa dopo due anni di matrimonio fallimentare con un uomo che non è mai piaciuto ai suoi, e ben decisa a non dare più retta al proprio cuore. Ma quando il suo sguardo incrocia quello di Hardy, la giovane donna si renderà conto che non si può resistere alla tentazione di un diavolo dagli occhi azzurri. Entrambi finiranno preda di un sentimento che nessuno dei due può - o vuole contrastare. Soprattutto quando una minaccia terribile emergerà dal passato della ragazza, e solo Hardy potrà salvarla...

mercoledì 15 gennaio 2025

Soul Kiss e il suo inizio

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Priscilla

«Non ti sei ancora cambiata?».
Sgrano gli occhi, cercando di mettere a fuoco cosa mi stia dicendo mia cugina che, elegantissima nel suo abito da sera azzurro che le carezza la figura minuta, continua a parlarmi come se potessi sentirla.
Mi tiro a sedere, sfilandomi le cuffie con cui ascolto la musica, e lancio un’occhiata alla mia tuta grigia che stride con l’eleganza di lei.
«Ti sei accorta di che ora è?», mi rimprovera crucciata.
Istintivamente mi guardo intorno. Il salotto sembra in ordine. I cuscini sul divano sono perfettamente allineati in un angolo, e non ci sono mie giacche lasciate sul mobilio chiaro. Anche all’ingresso, tra il guardaroba e la finestra, non scorgo scarpe.
«Abbiamo ospiti?», chiedo, sorpresa, a mia cugina, che ora mi osserva palesemente incredula, quasi offesa.
«Holly, non dirmi che te ne sei dimenticata!».
Le sue iridi azzurre rifulgono di luce sinistra.
«È grave?», le chiedo titubante, mordendomi un labbro.
A giudicare dall’abito che indossa, deve essere qualcosa di piuttosto formale. Ha persino la pochette!
«Cazzo! La festa del capo di Patrick!», a un tratto tutto mi torna in mente, con imbarazzante chiarezza. Balzo in piedi, mortificata. «Ivy, scusami», le afferro le mani tra le mie. «Pensavo di avertelo detto!». Ricaccio indietro un ricciolo che mi cade sugli occhi. «Non posso venire con te e Patrick. Non stasera».
«Stai scherzando, spero!».
La mia cara cuginetta che da un paio di anni si è trasferita a vivere a New York, nel mio loft, nel quartiere di SoHo, con la speranza di affermarsi come attrice, proprio ora che è sul punto di realizzare il suo sogno, mi lancia un’occhiata truce, come se le avessi ucciso il gatto.
«Holly, me lo avevi promesso!», sbotta, con voce stridula. «Patrick ha garantito la presenza di Priscilla Heart al signor Reynolds e, anche se non è prevista una tua esibizione, la tua assenza non passerà inosservata. Penseranno che lui… e che io…». Arrossisce fino alla radice dei capelli. «Holly, non puoi farmi questo! Io ci tengo a Patrick», geme, come se fosse sul punto di scoppiare in lacrime.
L’azzurro dei suoi occhi s’incupisce ed io mi sento terribilmente in colpa. Fino a pochi anni fa, quando vivevamo entrambe ancora nei sobborghi di Londra, e a casa mia c’era spesso baruffa, questa donna mi accoglieva nella sua stanza senza pormi domande e attendeva pazientemente che fossi io a confidarle cosa stava accadendo alla mia famiglia.
«Ho le prove con i ragazzi», cerco di spiegarle, sinceramente dispiaciuta. «La settimana prossima devo presenziare come ospite a un Festival e abbiamo una nuova coreografia».
«Appunto, lo hai detto tu stessa: hai sette giorni davanti a te», non molla, posando i suoi occhi lucidi su di me. «Ti prego, solo stasera».
Sono tentata. Potrei chiamare Peter… Slitterebbe tutto a domani pomeriggio, ma… No, meglio di no. Scuoto brevemente il capo, sempre più risoluta.
«Scarica tutta la responsabilità su di me», risolvo, già più leggera. «Di’ al tuo Patrick che mi hai lasciata sul divano, troppo sbronza per reggermi in piedi», scrollo le spalle, con noncuranza. «Non è poi così inverosimile, no? Le star sono note per i loro eccessi».
«Holly, la smetti?». Ivy mi guarda truce. «Quando fai così ti detesto», mi chiarisce, con il broncio. «Qual è la verità?», mi chiede, invitandomi a tornare sul divano con una piccola spinta sul fianco. La assecondo e qualche istante dopo anche lei siede accanto a me. «Davvero non puoi rimandare a domani le tue prove o c’è dell’altro?».
Le sue mani indiscrete iniziano a farmi il solletico. È una cosa che non sopporto. Inizio a ridacchiare e a divincolarmi, nel tentativo di sfuggire alle sue dita che s’infilano sotto la maglia della tuta.
«Smettila!», la imploro, ridacchiando. La colpisco alla cieca, sulle mani, sulle spalle, sul petto. «Smettila!», le ripeto, in uno scroscio di incontenibili risa. «E va bene!», cedo, vinta. Scivolo più indietro e mi ritrovo a guardare il volto luminoso e attento della mia biondissima cugina che non mi somiglia per niente. Tanto lei è piccola, mingherlina e graziosa, tanto io sono alta, mora, snella e prorompente nelle mie forme che mi accompagnano sul palco in un’immagine sexy che mi sta assai stretta.
«Allora?», rivendica la sadica, pronta a tornare all’attacco. «Qual è il motivo per cui ti stai tirando indietro?».
«Perché pensi che il capo di Patrick voglia conoscermi?», la invito a ragionare.
«Perché apprezza i tuoi pezzi?», rilancia lei e ha anche il coraggio di guardarmi negli occhi, come se fosse convinta di quello che dice, ma alla mia occhiataccia truce, si scioglie in una risata. «E va bene! Sebastian Reynolds ha un debole per te», confessa e alla mia espressione esasperata, si accalora, spiegandomi:
«Holly, è uno schianto».
«Non mi interessa», mi libero delle sue mani, per marciare in cucina. Questa è stata ricavata in uno spazio dell’openspace suddiviso tra salotto e sala da pranzo. Un tempo era lo spogliatoio dove le modelle si preparavano. Lancio un’occhiata alle mie spalle. Non resta molto dello studio fotografico degli anni Novanta, ma nel complesso l’appartamento, a due piani, ha conservato una sua spiccata personalità.
Scuoto il capo e mi soffermo sulla lattina di Coca Cola Light che tiro fuori dal frigo, in stile vintage.
«Ne vuoi anche tu?», propongo alla mia stalker che mi ha raggiunta e, con le mani sui fianchi, mi osserva contrariata.
«Holly, non puoi continuare in questo modo», mi dice, con la fronte crucciata e un’espressione battagliera. «Non si vive di sola musica», tuona, determinata a non lasciarmi in pace, finché non mi avrà detto tutto quello che pensa. «Quanto tempo è trascorso dall’ultima volta che ti sei concessa una storia? Una storia vera, non una scopata da una notte e via?».
«Smettila», le intimo, turbata. Non voglio pensare a Henry né tantomeno alla fama che mi accompagna, da quando la mia carriera è diventata qualcosa di serio.
«Non verrò alla festa di questo tizio… Come hai detto che si chiama?». Schiocco le dita, fingendo di non ricordarmi il suo nome.
«Sebastian… Sebastian Reynolds», scandisce con ammirevole calma, ma non si lascia deviare e, pochi istanti dopo, mi ripete:
«Anche tua madre la pensa come me ed è molto preoccupata».
La dribblo, decisa a salire in camera mia. Non ho alcuna intenzione di sorbirmi la storia della mamma inquieta per la mia vita sentimentale. Se oggi sono Priscilla Heart, la regina del pop versione ultra sexy, lo devo a lei e alla sua incapacità di scegliersi un uomo con gli attributi.
«Mia madre è l’ultima persona da ascoltare su questo tema», le ricordo, prima di salutarla con un cenno della mano.
«Non tutti gli uomini sono come tuo padre». Ivy mi raggiunge sulle scale che conducono alla zona notte, parandosi davanti a me, con la sua aria contrariata. «Prendi Patrick», insiste con ammirevole orgoglio. «Quando gli ho detto che per il momento non volevo figli, per concentrarmi sulla carriera, lui ha capito e mi sostiene».
«Buon per te!», osservo, non molto convinta. Per me gli uomini si suddividono tra quelli da scopare e quelli da evitare come la peste. In ogni caso, a nessuno dei due, di solito, è concessa una seconda chance. Così le dico:
«In ogni modo, per stasera, mi dispiace, ma non posso mandare a monte la serata con i ragazzi, senza poi sorbirmi la lavata di capo di Alice».
«Alice dovrebbe ricordarsi che se gira in Porsche lo deve a te», bofonchia contrariata la mia coinquilina, che non ha mai sopportato il piglio da donna in carriera della mia agente. «A parte questo…». Armeggia nella borsetta che si è trascinata dietro per qualche istante e alla fine ne tira fuori il cellulare.
«Cosa fai?», le domando, incerta.
«Avviso Patrick che sono in ritardo e gli chiedo di girarmi il numero del suo capo».
«Per fare cosa?», mi accorgo che la mia voce suona un po’ allarmata, come se davvero questo Reynolds mi spaventasse in qualche modo.
«Be’, se non vieni con noi alla festa, il minimo che puoi fare è dirglielo di persona». La scaltra giocatrice inarca un sopracciglio ed io torno a respirare, mentre le faccio notare:
«Non ho alcuna intenzione di contattare un tipo di cui non m’importa nulla, per dirgli che ho altri impegni. Senza contare che, se lo facessi, lui si memorizzerebbe il mio numero e difficilmente me lo toglierei dai piedi. E tutto questo, solo per fare un favore al tuo Patrick dalla lingua lunga».
«Be’, se la tua preoccupazione è questa…». Sorride, incoraggiante. «Chiamalo con il mio!». Mi porge il suo telefono.
«Hai il numero del capo di…».
Le parole mi muoiono in gola, mentre i miei occhi mettono a fuoco, sullo schermo dell’iPhone, il volto di un uomo sui trentacinque anni, dalla carnagione abbronzata, folti e mossi capelli corvini e due occhi color zaffiro che trafiggono chi lo guarda. Da scopare, grida una parte di me, ma l’altra mi ricorda con maggiore determinazione: guai in arrivo!
«Sebastian Reynolds», mi spiega Ivy, con una nota divertita nella voce. «Quello che non vuoi incontrare».
«Io non ho detto…».
La stronza, con le mani sui fianchi e lo sguardo provocatore, mi sfida a contraddirla.
«Non è vero che ho paura di lui», le assicuro, risentita. «Non ho paura di nessuno e tantomeno di uno come lui…», gli lancio una nuova occhiata. Cazzo, ha qualcosa di veramente interessante. Non è uno di quelli che appena lo vedi pensi a una versione di Ken. Ha la bocca larga, il naso non proprio dritto, gli occhi troppo grandi e invadenti, ma nel complesso… Nel complesso si nota e attizza. Attizza persino una tipa come me, che con gli uomini ha chiuso. Mi riscuoto, decisa a porre fine a questa discussione inutile. «Non ho nessuna voglia di difendermi dall’assalto predatore dell’ennesimo bavoso che pensa di potermi avere solo perché sul palco appaio il più delle volte mezza nuda e ammicco alla telecamera come se volessi scoparmi tutti gli uomini del mondo», provo a restituirle il telefono.
Lei, tuttavia, se la prende con comodo. Sorride, mentre osservandomi di sottecchi, mi fa notare:
«Reynolds e la parola bavoso nella stessa frase stonano non poco, ma a parte questo…». La cretina ridacchia. «Patrick parla di lui come un uomo molto razionale, capace di dominare i suoi istinti, e che si sappia, non è mai saltato su una donna, senza che lei ne fosse compiaciuta».
Le ficco nella mano il telefono, con una certa urgenza, come se scottasse.
«Non è il mio tipo», le ribadisco.
«Ne sei sicura?».
Ivy mi osserva dubbiosa ed io non ci penso ulteriormente. Mi alzo e le dico:
«Se tu sei disposta a rischiare che io assesti un calcio nelle palle al capo del tuo amore, io non ho nessun problema a spostare le prove della mia coreografia a domani».